L. ROSSETTI - INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA ANTICA (1998)


Interpolazione

Il termine indica due fenomeni nettamente distinti.

(A) L’indebita intrusione di parole (o di una più strutturata unità testuale: ad es. una nota di commento) dentro un altro testo. Una possibilità è che il fenomeno riguardi delle note scritte a margine — o in interlinea — da chi ha utilizzato un certo papiro o codice. Può accadere che tali annotazioni vengano incorporate nel testo, episodicamente o anche sistematicamente, nel qual caso si suppone che il committente richiedesse di fare una "bella copia" di un dato manoscritto, involontariamente inducendo il copista a ricopiare, per completezza, anche ciò che figura fuori margine o sopra il rigo (la chiosa, lo scolio), come se facesse parte del testo che viene invece chiosato. L’interpolazione suppone dunque (A) che le glosse siano relativamente rare e brevi, (B) che prevalga l’interesse per il risultato estetico della nuova copia, e (C) che il copista non si interessi minimamente del senso di ciò che sta ricopiando, così da poter scambiare queste chiose per interventi autocorrettivi di chi ha redatto l’antigrafo (cioè per la mera reintegrazione di parole involontariamente omesse). Tanto basta perché le eventuali copie successive riproducano meccanicamente simili interpolazioni. Un’altra possibilità è che il copista introduca nel suo testo una o più parole di sua iniziativa, nella presunzione di rendere l’insieme più nitidamente intelligibile, magari con risultati piuttosto infelici. Una terza possibilità è che un certo brano sia riprodotto, sempre per errore, una seconda volta, di seguito o un po’ più avanti. — Nel predisporre un’edizione critica, l’uso è di preservare le interpolazioni, chiudendole fra parentesi quadre ([ ... ]) se si fa riferimento a dei codici, e fra parentesi graffe ({ ... }) se si fa riferimento a dei documenti papiracei.

(B) L’eventuale scelta di uno scrittore di incorporare nel suo testo parte di un’opera di altro autore senza denunciarne l’origine. Tale è il caso del Protreptico di Aristotele, nella misura in cui Giamblico l’ha ‘riciclato’ in un suo Protreptico. Non si potrebbe parlare invece di vera e propria interpolazione nel caso del discorso di Lisia che figura quasi all’inizio del Fedro platonico, in quanto Platone dichiara apertamente che si tratta di uno scritto dovuto a Lisia (la situazione si fa paradossale se questo brano fosse, come probabilmente È, una mera imitazione di Lisia, ideata dallo stesso Platone).


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