L. ROSSETTI - INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA ANTICA (1998)


Diacritico

Gr. diakritikÒj [diakritikós] (da kr…nein [krínein], «separare», «discernere»), «che serve per distinguere». Il termine figura già nel Cratilo platonico (388c). È piuttosto recente l’uso di indicare con questo termine i segni convenzionali che permettono di introdurre nel testo delle informazioni aggiuntive, quindi delle distinzioni o modulazioni del senso da attribuire al singolo segno (es. l’accento e lo spirito nel greco, ma diacritico è lo stesso punto interrogativo) ovvero a intere parole (si pensi al corsivo usato per segnalare che una certa parola o espressione è mutuata da altre lingue) o gruppi di parole (es. le doppie parentesi angolate, « ... », a cui si ricorre nel citare una frase; a maggior ragione la cosiddetta crux desperationis). Diacritiche sono, del pari, le sigle, le abbreviazioni, i simboli matematici e la cosiddetta «chiocciola» (cioè il segno @ che connota gli indirizzi della posta elettronica). Pertanto, più il testo è tecnico, più questi segni abbondano e si specializzano, tanto da richiedere a volte l’allestimento di un apposito prospetto (la «chiave» da usare per la loro corretta decodifica). Una bella collezione di antichi segni diacritici, chiamati sémata, figura in Diogene Laerzio III 66. V. anche le voci Paragraphe e Stigme (nonché. in un'altra ottica, Paratesto).


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